Moreno Corallini è nato nel 1952 a Civitanova Marche, città dove vive e lavora ancora oggi. Dirigente di multinazionali, spedizioniere doganale, per 45 anni nei trasporti internazionali e nella logistica. In varie occasioni si è occupato del trasferimento delle opere d’arte di artisti italiani in esposizioni e mostre in varie parti del mondo.

Autodidatta, inizia la sua attività artistica nei primi anni novanta, astrattista per vocazione non segue una corrente o movimento artistico ma cerca sempre di seguire il suo istinto captando suggestioni dai suoi pittori preferiti Mirò, Pollock, Kandinsky, Mondrian come pure la pittura informale.

La sua pittura è caratteriale, istintiva, lunatica, caotica: una terapia antistress per ricaricare l’anima.

Le sue opere non nascono da un’idea, un pensiero o una visione ma è la stessa opera che fa nascere l’idea: è una reazione ad uno stato di stress. Lasciare le sue mani libere di giocare con i suoi colori gli produce uno stato di benessere fisico e mentale.

Dicono di Moco

La pittura come sfogo dell’anima.

La ricca produzione di Moreno Corallini, in arte Moco, non può essere catalogata né per periodo, né per tematiche, né per stile, si può tutt’al più indicare, abbastanza arbitrariamente, qualche presenza ricorrente.

Astrattista per vocazione per i suoi lavori adopera i supporti più diversi: tela, carta, cartoncino, legno, metallo… unica costante l’acrilico, disteso direttamente con le mani, quasi a voler sottolineare il contatto fisico tra l’opera e il suo autore; nella sua produzione inoltre compaiono grandi opere monocrome di notevole impatto visivo così come frequenti sono i motivi circolari che si ripetono con intrecci, colori e dimensioni diverse, dal filiforme al marcato, oppure le suggestive espressioni del materico e del glitterato.

La sua sperimentazione artistica lo porta a ricercare uno stile personale che si distacchi dal contesto tradizionale. Non si pone come innovatore, né come seguace di una corrente o di un movimento artistico precostituito, ma certamente con la sua arte emotiva e sincera rompe con la tradizione pittorica convenzionale come altrettanto certo ed evidente è che riesce a captare le suggestioni che gli giungono dai suoi artisti preferiti: Mirò, Mondrian, Kandinsky, Pollock.

Impiega colori decisi con cui esprime pienamente il suo carattere determinato; lo stile è creativo, energico e le forme essenziali. I colori a volte sono fusi sfumati, molto più spesso sovrapposti o giustapposti, avvicinando tonalità molto diverse secondo lo stato d’animo del momento.

Vola verso l’astratto dipingendo forme prive di volume, per un’arte fatta di luce e di colori: il rapporto tra forma e colore è infatti alla base dell’astrazione e già Kandinsky aveva dato indicazioni sulle proprietà emozionali di ogni tono e di ogni colore, compito dell’arte infatti è di suscitare emozioni sia all’autore che al fruitore e questo Moco lo sa bene. La mano segue gli impulsi del cervello, degli stati d’animo in una ricerca di armonia tra linee, colori, superfici.

Titoli fantasiosi, poetici, esplicativi sono parte integrante delle sue opere, solo apparentemente semplici, specialmente i quadri cosiddetti “non rappresentativi”, cioè senza figurazione, in cui predominano linee perpendicolari e campiture geometriche dalle cromie squillanti.

Nel cammino artistico fin qui compiuto da Moco, la sua ricerca di smaterializzazione lo porta, verso una sempre più sentita semplificazione (forme geometriche, figure deformate o stilizzate per esprimere con la massima immediatezza lo stato emozionale che lo spinge a creare). Spesso nell’atto creativo ha una visione d’insieme, ma poi lascia la sua fantasia libera di agire senza controllo e allora il colore viene lanciato, macchiato, sgocciolato sulla tela con richiamo evidente al dropping di Pollock.

La pittura è per lui un atto psicofisico, la sua arte non è studiata, ma nasce affidandosi all’istinto, all’impulso del momento per poter toccare i sentimenti e instaurare un dialogo con chi vorrà soffermarsi a contemplare le sue opere.

Mirella Ruggieri

Settembre 2017

C’è Ariabona nella campagna civitanovese.

E non lo affermo solo in astratto. Un “polmone” di emozioni colorate che non mi sarei mai aspettato da Moreno. Di lui conoscevo la sua tempra d’uomo, le “medaglie” professionali, le passioni sportive. E la sobrietà dello stile e del linguaggio. E quei passi umili in punta di piede. Tant’è che il suo speakeraggio nel basket, gesto che in altri è associabile spesso a uno squillo scomposto dell’ego, mi sembrava una derapata pazzesca rispetto al clichè (la penombra fattasi carne) che m’ero fabbricato su di lui.

Salendo in pellegrinaggio nel suo eremo a pie’ di collina, dove Moreno stacca la spina e si traveste da MoCo, ho scoperto il perchè e il per come di quella sua vocazione appresa da me, per caso, via Facebook. E fu la luce, sparata dalle finestre sulle sue tele, sulle carte e i legni. Istintivo lui nella sua pittura, istintivo io nella personale interpretazione di quelle pennellate un po’ caotiche e un po’ no. Roba grossa per me, disarmato come un pulcino di fronte all’irraggiamento dell’arte; al bombardamento della sua arte.

Grazie Moreno: per un’ora, in quel tuo buen ritiro che odorava di tutti i vapori e i colori del mondo, mi hai fatto respirare tanta Ariabona!

Mario Pacetti

Giornalista de “Il Resto del Carlino”

Dal surrealismo a Pollock: visioni astratte by MoCo

Pittore marchigiano di levatura internazionale, MoCo (Moreno Corallini) non ama definirsi un artista tradizionale. Così come in molti contemporanei, la sua creatività si esprime nella gestualità dell’opera: non è l’idea che partorisce il dipinto bensì è l’opera che, auto-generandosi, dà forma all’idea. Partendo da questo assunto, il bacino ispiratore a cui attingere non può che trovarsi ai confini tra il surrealismo di Joan Mirò e l’action painting di Pollock, incrociando talvolta le strade di Kandinsky e Mondrian.

Astrattista puro, MoCo utilizza diversi supporti: tele, carta, cartoncino, legno; la costante? L’acrilico steso direttamente con le mani, senza l’ausilio di pennelli. La motivazione di questa scelta tecnica risiede nel fatto che il Corallini vuole far propria la materia pittorica e, attraverso il tatto, riscontrare un vero e proprio beneficio tanto fisico quanto mentale. MoCo definisce la sua produzione come un gioco che scaturisce dall’intimo contatto con la natura che lo circonda. Nell’opera “Ritratto intero” le forme anatomiche sono abbozzate a grandi linee e deformate sotto la pressione dell’astratto; senza conoscerne il titolo, la raffigurazione potrebbe significare tutto. Ecco un chiaro esempio di come sia l’opera a generare l’idea.

In “Clown” tale peculiarità risulta ancora più evidente; considerato che gli stilemi mironiani e Kandinskyani qui prendono il sopravvento, è lasciato all’osservatore il compito di trovare davvero i tratti del saltimbanco. Nelle opere “Schizzi di colore” e “Alieno” il lavoro della mente ai confini del concreto cede il passo alla gestualtà della mano:  ci si trova difronte al dripping (colore schizzato direttamente sulla tela, senza un ordine nemmeno vagamente programmato), all’improvvisazione creativa, tipica di Pollock, che solo in secondo momento può suscitare un’emozione sensibile tale da pronunciare il nome dell’opera .

Nell’antologia della produzione di MoCo, in ultimo, non mancano opere monocrome dal grande impatto emotivo, così come frequenti sono i motivi circolari, quasi a voler evocare un senso di perfezione extra-terrena che guida la mano dell’artista.

Birigida Cristilli

da InARTE Multiversi
anno XII – num. 75